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Impariamo a convivere con la morte

Onoranze Funebri Favero, impariamo a convivere con la morte

Il tabù della morte nella nostra società

Se hai aperto questo articolo, già ti facciamo un applauso perché hai deciso di affrontare un tema scottante, un tema che spesso viene nascosto sotto terra, neanche sotto il tappeto. Il preambolo che ci teniamo a fare è quello di non leggere questo argomento come qualcosa di personale, perché come sappiamo tutti non esiste una verità che valga per tutti: affrontalo da un punto di vista sociologico, antropologico, artistico, spirituale, cercando di non legare troppo la tua personale esperienza perché potrebbe non rispecchiare queste idee.

Detto questo, partiamo.

Il dato di fatto dal quale partiamo per fare questa analisi è che il culto dei morti viene associato, in modo quasi univoco, alla religione; questo almeno è lo stato dell’arte al quale assistiamo in questo paese: la Chiesa cattolica è la figura che gestisce il rapporto con l’aldilà, mentre la società non ci pensa nemmeno.

Se ora infatti domandassimo ad ognuno di voi se è mai stato ad un funerale, l’immaginario che comparirà nella sua testa sarà: una Chiesa, una bara e un prete che tiene messa. Ma questo per quale motivo? Non c’è una risposta semplice, ci sono molte variabili in campo che senza dubbio hanno contribuito ad allontanare la società moderna dalla tutto quello che è e rappresenta la morte: vuoi un tendenza all’ateismo sempre più spiccata, vuoi il non saper come gestire il lutto, vuoi la distanza fisica dai luoghi progettati per accogliere i defunti.

La morte sta diventando sempre meno un fatto sociale e più uno individuale. Ma è sempre stato così?

Onoranze Funebri Favero, impariamo a convivere con la morte - La Pietà di Michelangelo

La rappresentazione della morte nell’arte

No, e l’arte ne è un chiaro esempio.

Durante il medioevo la morte aveva un forte valore simbolico, anche se non veniva rappresentata direttamente, erano spesso presenti simboli, o allegorie, che fungevano da monito per l’osservatore.

La stessa cosa vale poi nel rinascimento, dove la morte diventa simbolo della sofferenza di tutti. Pensiamo ad esempio alla Pietà vaticana di Michelangelo, a noi sembra solo uno dei tanti racconti evangelici, ma quello che cela è anche un dolore universale: la morte prematura di un figlio.

Ma la raffigurazione della morte all’interno dell’arte è davvero variegata, tant’è che parallelamente è riuscita a farsi spazio anche una visione più umana, come quella data da Caravaggio, un artista già sicuramente discusso all’epoca. Lui rappresenta la morte in una maniera diversa rispetto ai pittori del tempo, basti vedere il dipinto Morte della Vergine.

Tutto quello che comunque possiamo evincere da questa breve analisi è che le opere d’arte svolgono comunque un ruolo di mutuo aiuto, portando il dolore ad una dimensione collettiva.

La morte nella società moderna

Quello che secondo noi si è un po’ perso è l’idea che la religione possa rappresentare le persone: quando guardiamo le storie sacre, ricordiamoci sempre che in realtà parlano di persone, esseri umani come noi che cercano di dare un senso al dolore e alla morte.

Ma non deve essere solo all’interno dell’ambito religioso che si parla di questo tema: deve essere portato fuori dai cancelli sacri.

Oggi sempre più si ha la tendenza a parlare della morte in due modi completamente opposti, il primo mostrare, quasi a dare uno schiaffo in faccia, la morte e la sofferenza, mostrare l’orrore; razionalmente noi siamo portati a non desiderare l’orrore, ma poi quando arriva non possiamo non guardarlo, godiamo nel vederlo – soprattutto quando non ci riguarda personalmente (non si tratta di pazzia ma di una caratteristica intrinseca nell’essere umano). Il secondo modo è invece la tendenza all’edulcorazione: parlarne, ma non parlarne, dire ma non in modo esplicito, sottintendere, tanto quasi da non capire più nulla.

Ora, noi non siamo qui a disquisire su quale metodo sia più corretto – al massimo poi possiamo parlare di funzionale piuttosto che corretto – ognuno deve vivere il dolore e la morte a modo suo, ma quello che è importate fare e parlarne: che sia in modo più schietto o velato, l’importante è iniziare a rendere la morte parte della nostra vita. Ci rendiamo conto che sembra un ossimoro, ma è così. I giovani oggi lo fanno attraverso i social, condividendo pensieri, parole e trovando conforto nelle altre persone: trasformare la loro sofferenza in qualcosa di utile, un’esperienza da condividere affinché le persone si possano riconoscere. Abbiamo in parte parlato anche di questo tema trattando le nuove sepolture green, che stanno cercando di dare un senso alla morte donando la vita.

Ne stiamo parlando quando parliamo di eutanasia legale, ne parliamo quando ci indigniamo per morti brutali, ne parliamo quando studiamo il ciclo naturale della vita: la morte fa parte della nostra esistenza molto più di quello che percepiamo. Ma questo perché si tratta di un processo naturale, che esiste e sempre esisterà. Se può consolarvi, pensate alle parole di LavoisierNulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”: morire non significa sparire ma trasformarsi in altro, se siete credenti probabilmente credete in uno spazio aldilà del razionale, se credete nella scienza, allora conoscete già bene le parole di Lavoisier e il loro significato.

Mettiamo fine a questo articolo

Vogliamo chiudere questo argomento dicendovi che ci rendiamo conto che affrontare questo tema in questo momento storico è sicuramente qualcosa di scomodo, ma essendo noi nel settore – e avendo a che fare con la morte molto più spesso – ci teniamo a dare una rappresentazione della morte che sia diversa dal solito. Forse una visione più rassicurante? Magari per alcuni sì, per alcune persone potrebbe dare conforto l’idea che la loro morte porti la vita a qualcosa di diverso. E speriamo che un giorno anche l’iconografia della morte cambi, che non diventi qualcosa di buio e tetro, di cui aver paura, ma che sia qualcosa in continuo divenire, un continuo fluire, il famoso panta rei degli eraclitei.

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